Maremma e acquacotta

Ricordi e ricette di una delle zone più belle del mondo.

 

30 agosto 2011. - Fino a venticinque anni, ho passato le mie estati in un paese minimo: la Liguria occidentale. Tutto vi era minimo: le spiagge, gli scogli, gli uliveti, i pini sulle colline, le mimose, le serre di pomodori e di garofani, di carciofi e di orchidee, i paesi medioevali, i muretti a secco, i mazzi di lavanda e di rosmarino; e una mente egualmente molecolare vedeva nel mondo una moltitudine di forme quasi invisibili.

Dopo il 1955, passai le estati in Maremma: nei poderi immensi, di cinquecento o mille ettari, e poi nelle colline che salivano lentamente verso Siena. Non avevo mai conosciuto un paesaggio simile. Non ero abituato alle grandi proporzioni, e da principio esse mi fecero quasi terrore.

Qui c’era spazio: un enorme spazio; i maremmani costruirono poco, agirono poco, comprendendo che la massima qualità dell’uomo, mentre s’affaccia al mondo, deve essere la discrezione. Non agire: lasciare che qualcosa accada, perché, comunque, accadrà. Non farsi vedere. Guidavi la macchina per ottanta chilometri, e non incontravi nemmeno un essere umano: solo grandi boschi di lecci, di castagni e di sughere, foreste alla Altdorfer, miniere abbandonate, un piccolo lago azzurro e verde come in un quadro di Poussin, una chiesa cistercense scoperchiata, una chiesa di onice, una cappella quasi micenea, un paese con le torri e le case bianche di Giotto. E poi, all’improvviso, ai piedi di un castagno secolare, vedevi un alto pianoro: verdissimo, circondato da boschi. Pensavi all’«umile Italia» di Virgilio. Nulla era più antico di questo luogo: persino i confini tra i campi dovevano risalire al quarto secolo; e poi ti accorgevi che proprio qui, milleduecento anni fa, si accampò l’esercito di Carlo Magno, che scendeva verso Roma.

La fattoria della Maremma era un microcosmo. Vi si coltivava il grano, il granturco, l’ulivo, la vigna, la frutta: le grandi stalle nascondevano buoi, mucche e maiali. Il contadino maremmano era una specie di uomo universale: sapeva fare di tutto: conosceva ogni cultura; secondo le ore della giornata, era contadino, frutticultore, giardiniere, boscaiolo, idraulico, elettricista, fabbro, muratore, falegname. Quale deposito di sapienza agricola e umana, quale passione per la campagna, quale attenzione, quale scrupolo si siano raccolti nelle fattorie, oggi è quasi impossibile immaginare. La sapienza nel prevedere, l’amore per la realtà, l’attenzione per ogni particolare, lo scrupolo nel non sprecare nulla, la precisione dello sguardo, la fermezza delle linee, una fantasia tanto più ricca quanto più segreta, una passione che nulla limitava, una specie di nobile dilettantismo... Sembrava, a volte, che dalla precisione di una potatura dipendesse la salvezza della terra. Era un mondo tragico, chiuso, concentratissimo: vi si raccoglieva una quasi intollerabile violenza di affetti, uno spaventoso senso del possesso, un odio verso ciò che era straniero. Non c’era un attimo di distensione. Pareva che un albero che non portasse un beneficio immediato, un gatto o un cane che si aggirassero liberamente nel giardino o nell’aia fossero nemici che bisognava abbattere a ogni costo.

Fino a sessant’anni fa, la Maremma era una regione povera: talvolta poverissima. La festa del cibo avveniva a dicembre o a gennaio, quando si uccideva il maiale: era una specie di raptus dionisiaco, ma spesso un solo maiale apparteneva a più famiglie e doveva durare per un anno intero. Il simbolo della civiltà culinaria maremmana era invece una specie di minestra, che aveva un nome bellissimo: l’acqua cotta. Era il cibo dei poveri: non costava quasi niente: veniva fatta d’avanzi e di erbe trovate nei prati; e il suo suono giocoso faceva capire che non si trattava nemmeno di un cibo, ma di uno scherzo con l’acqua del mondo.

La massaia preparava il pane una volta la settimana: lo custodiva in una grande madia; e, alla fine della settimana, il pane era secco, quasi raffermo. La mattina del settimo giorno la massaia raccoglieva le verdure e le erbe: soprattutto cipolla, sedano, radicchio di campo. Un poco d’olio li inumidiva. Poi c’era l’uovo: non costava molto, giacché qualche gallina razzolava sempre nell’orto dietro casa; eppure un uovo doveva bastare per sei porzioni. A questo punto, la massaia impugnava la padella, e soffriggeva la cipolla, il sedano e il radicchio. Pomodoro e acqua riempivano la padella fino all’orlo. Sotto la sorveglianza degli occhi svagati delle ragazze di casa, tutto bolliva e ribolliva per circa un’ora. Restava un ultimo gesto. La massaia tagliava meticolosamente il pane secco o raffermo in fette sottili: le disponeva nella zuppiera; e rovesciava cipolla, sedano, radicchio di campo, sale, pomodoro, acqua caldissima sopra le magre fette di pane.

Raccomando l’acqua cotta a tutti coloro che coltivino le infinite forme della minestra. Non ne conosco una migliore: il giorno dopo, o due giorni dopo, è ancora più umida, sottile e profumata.
 

La ricetta
Ecco come si prepara l’acqua cotta. Inumidire le verdure e le erbe, soprattutto cipolla, sedano e radicchio di campo, con poco olio. Aggiungere un uovo. Soffriggere una cipolla in padella e versare il sedano e le verdure. Riempire con pomodoro e acqua la padella fino all’orlo. Lasciare bollire per circa un’ora. Poi un ultimo gesto: tagliare il pane secco o raffermo in fette sottili; disporre il pane nella zuppiera e rovesciare sopra cipolla, sedano, radicchio di campo, sale, pomodoro e acqua caldissima.

 

(pietro citati / corriere.it/ puntodincontro)

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30 de agosto de 2011. - Hasta los veinticinco años, pasaba los veranos en un lugar pequeño: la Liguria occidental. Todo allí era mínimo: las playas, los acantilados, los olivares, los pinos en las colinas, las mimosas, los invernaderos de tomates y claveles, de alcachofas y de orquídeas, las aldeas medievales, los muros de piedra, los ramos de lavanda y romero ... y una mente molecular veía en el mundo una multitud de formas casi invisibles.

Después de 1955, pasé los veranos en la Maremma: en las inmensas granjas de quinientos o mil hectáreas y luego en las colinas que subían lentamente hacia Siena. Nunca había visto un paisaje similar. No estaba acostumbrado a las grandes proporciones y, al principio, casi me provocaron terror.

Aquí había espacio, un espacio enorme, los habitantes de la Maremma construyeron poco, actuaron poco, entendiendo que la más alta cualidad del hombre, al asomarse hacia el mundo, debe ser la discreción. No actuar: dejar que las cosas sucedan, ya que, de todas formas, van a suceder. No ser visto. Podías conducir el coche ochenta kilómetros sin encontrar un ser humano, sólo grandes bosques de robles y castaños, minas abandonadas, un pequeño lago azul y verde como en un cuadro de Poussin, una iglesia cisterciense descubierta, una iglesia de ónix, una capilla de la época de Micenas, un país con las torres y las casas blancas de Giotto.

Y luego, de repente, al pie de un castaño antiguo, aparece una alta meseta verde, rodeada de bosques. Te pones a pensar en la "humilde Italia" de Virgilio. Nada es más antiguo que este lugar, hasta los límites entre los campos tienen que ser del siglo IV. Y luego te das cuenta de que aquí, 1200 años atrás, acampó el ejército de Carlomagno que iba a Roma.

Las granjas de la Maremma eran un microcosmos. Se cultivaban trigo, maíz, olivos, viñedos, frutales: los graneros escondían caballos, vacas y cerdos. El agricultor de esta zona era una especie de hombre universal: sabía hacer de todo, conocía todas las culturas. Según la hora del día, era agricultor, jardinero, leñador, fontanero, electricista, herrero, albañil, carpintero. Un verdadero depósito de sabiduría agrícola y humana, una verdadera pasión por el campo que hoy son casi imposibles de imaginar. La sabiduría de la previsión, el amor por la realidad, la atención a cada detalle, el cuidado para no desperdiciar nada, la exactitud de la mirada, la firmeza de las líneas, una fantasía rica y secreta, una pasión que no limita, una especie de noble afición ... Parecía, a veces, que la conservación del planeta dependía de la exactitud de la poda. Era un mundo trágico, cerrado, muy concentrado, donde se recogía una casi insoportable violencia de los afectos, una sensación aterradora de posesión, un odio hacia lo extranjero. No había momentos de relajación. Parecía que un árbol que no producía un beneficio inmediato, un gato o un perro en libertad en el jardín o en el corral eran enemigos que tenían que ser derrotados a cualquier precio.

Hasta hace sesenta años, la Maremma era una región pobre, tal vez muy pobre. El festival de la comida tenía lugar en diciembre o enero, cuando se mataba al cerdo: era una especie de éxtasis dionisíaco, pero a menudo un solo cerdo pertenecía a grupos familiares y tenía que alcanzar para todo el año.

 

(pietro citati / corriere.it/ puntodincontro)

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