«Quando sono scure, le parole pesano il doppio»

elias canetti

 

22 febbraio 2013 - La parola casta, in un certo senso, è un neologismo.

Il nome, un tempo, si riferiva al sistema di stratificazione gerarchica della società indiana. Le caste erano quattro: brahmini (sacerdoti), kshatriya (il re e i guerrieri), vaishya (agricoltori e mercanti) e shudra (servi), cui si aggiungevano i "fuori casta", genericamente indicati come paria o intoccabili. Questi ultimi erano esclusi dal novero castale per la spregevolezza della loro occupazione. Chi li avesse sfiorati anche solo accidentalmente, avrebbe dovuto andare quanto prima a purificarsi. Chi nasceva in una determinata casta non poteva uscirne, per cui era costretto da grande a fare lo stesso lavoro del padre.

Oggigiorno, nel parlar comune, casta ha assunto un significato nuovo, molto particolare.

Una definizione, non riportata dai dizionari ma largamente condivisa, non dovrebbe discostarsi dalla seguente: «Insieme di persone, che detengono cospicui privilegi e che, nel loro agire, non si curano affatto dell’indignazione e della riprovazione dei meno-abbienti».

La novità, però, non sta tanto nella descrizione (questa può benissimo applicarsi anche alla vetusta casta indiana) ma piuttosto nell’attribuzione di casta: i fortunati personaggi di cui sopra, sono gli uomini politici. (Il termine casta, in questo senso, è diventato popolarissimo dal 2007, in seguito al successo del libro "La Casta - Così i politici italiani sono diventati intoccabili" di Stella e Rizzo).

Ma, al di là dei privilegi e delle prerogative di questi egregi signori, quello che più li contraddistingue, è il loro linguaggio: ermetico, involuto, spesso incomprensibile ai più.

Cosa mai può capire, in pratica, la gente comune, quando viene gratificata di espressioni come questa: "è improrogabile la quantizzazione delle tariffe pubbliche, variabile per bacino di utenza, secondo un’opportuna ottica programmatoria"? E, ancora, cosa significa la "mappatura dei rischi approvata con consenso bipartisan"? E "le emergenze prioritarie, fatto proprio un ventaglio di iniziative"? Il tutto, per di più, infarcito di verbi orripilanti come "contrattare", "urgenziare", "interparametrare", "esodare", quasi tutte irreperibili nei dizionari.

Il politichese è una specie di complicatissima lingua, con i propri vocaboli e i propri verbi. Bisognerebbe studiarla, come l’inglese di Shakespeare o il greco di Saffo. La gran massa della gente (quella che poi vota) non è in grado di capirla. Avrebbe, per lo meno, bisogno di una … “pausa di riflessione predecisionale”.

D’altra parte, pare comprovato da un recente sondaggio demoscopico che su 100 italiani, 98 (!) non sappiano cosa sia lo "spread" (detto in parole povere, la differenza tra la resa dei titoli di stato italiani e quelli tedeschi) 80 rimangano muti circa la Corte Costituzionale, 70 ignorino a cosa sia adibito Palazzo Madama e 20 definiscano la Confindustria come un sindacato dei lavoratori industriali. Pare inoltre che alcuni fra gli intervistati abbiano considerato alquanto disdicevole la domanda posta loro circa il "funzionamento del Gabinetto dei ministri".

Per altro, il linguaggio, parlato e scritto, della casta è zeppo di sigle misteriose.

Ad esempio, noi, paria della politica, possiamo non sapere cosa sia l’ISPA? Ma è lapalissiano: è lo "Strumento Strutturale di Pre-Adesione". Sempre in parole povere, è un’istituzione che serve a preparare l’ingresso nella Comunità europea dei Paesi dell'Europa centrale e orientale (PECO, altro bell’acronimo!). Come si fa a non saperlo!

A proposito del linguaggio politichese, tempo fa, il prof. Piero Morosini (Istituto superiore di sanità) e il prof. Marco Marchi (Università di Pisa) hanno pubblicato uno studio linguistico molto divertente: «Prontuario di frasi a tutti gli usi per riempire il vuoto di nulla».

Dallo stralcio più sotto riportato, è evidente che, intrecciando a piacere le colonne di cui è composto, si può ottenere un serie, numerosa e diversissima, di frasi assolutamente prive di significato.

 

Questi discorsi, così ingarbugliati, vengono tenuti in Parlamento, luogo in cui, appunto, i Parlamentari parlano.  E, ahinoi!, parlano anche quando … non dovrebbero parlare.

Lo spettacolo di una “Seduta” parlamentare, è qualcosa di surreale.

Lo show, come impietosamente evidenziato dalle riprese televisive, è indecoroso, avvilente. Mentre Tizio, leggendo da un foglietto, blatera di mondializzazione delle tensioni centrifughe, bisogni emergenti e di salti di qualità, Caio, con sublime indifferenza, sta sfogliando il giornale e Sempronio chiacchiera al telefonino. Nel frattempo, alcuni altri compitissimi signori, si spostano dai loro scranni e vanno a confabulare con un esimio, remoto collega. Costui (lo si vede bene in TV!) è tutto intento a ridere e scherzare con una gentil signora che gli siede accanto e quindi…

Questa esibizione si ripete, senza eccezione, sempre secondo lo stesso copione.

È una specie di commedia deprimente e vergognosa, gli interpreti della quale sono (stra)pagati da tutti noi. E sono definiti “Onorevoli”, cioè degni d’onore!

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(claudio bosio / puntodincontro / traduzione allo spagnolo di carla acosta villavicencio e joaquín ladrón de guevara)

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«Cuando son obscuras, las palabras pesan el doble».

elias canetti

 

22 de febrero de 2013 - La palabra casta, de algún modo, es un neologismo.

Anteriormente, el nombre se refería al sistema de estratificación de la sociedad india. Las castas eran cuatro: brahmanes (sacerdotes), chatria (el rey y el guerrero), vaisia (agricultores y comerciantes) y shudrá (sirvientes), a los cuales pertenecían también los carentes de casta, normalmente referidos como parias o intocables. Estos últimos estaban excluidos de la categoría de castas debido a la vileza de sus ocupaciones. Quien apenas accidentalmente los rozaba, tenía que ir a purificarse inmediatamente. Aquellos nacidos en una casta determinada no podían abandonarla, pues estaban obligados, ya adultos, a dedicarse al mismo oficio que el padre. 

Hoy en día, en el lenguaje coloquial, el término casta ha adquirido un nuevo y muy particular significado. Una definición, no registrada en los diccionarios pero ampliamente compartida, no debería estar muy alejada de la siguiente: “conjunto de personas que ostentan privilegios notables y que, en su ejercicio, no se preocupan en absoluto por la indignación o el repudio de los menos acomodados”. 

Sin embargo, la diferencia no es tanto la descripción (ésta bien puede aplicarse también a la vetusta casta india), sino en las atribuciones de la casta: los personajes afortunados arriba descritos, son los políticos. (El termino, en esta acepción, se ha vuelto muy popular a partir del 2007, después del éxito del libro “La Casta – Como se volvieron intocables los políticos italianos”, de Stella y Rizzo). 

Pero, más allá de los privilegios y de las prerrogativas de estos hombres destacados, lo que más los distingue es su lenguaje: hermético, oscuro, frecuentemente ininteligible para la mayoría.

¿Qué puede entender, en la práctica, la gente común, cuando es recompensada con expresiones como esta: “Es improrrogable la cuantización de las tarifas públicas, mutables por segmento de usuarios, de acuerdo a una oportuna óptica programadora”? También, ¿que quiere decir “cartografía de los riesgos aprobada por consenso bipartita”? Y ¿“Las emergencias prioritarias, hecho propio de un abanico de iniciativas”? Y todo, además, atiborrado de horripilantes verbos como “estipular”, “urgenciar”, “interparametrar”,“exodar”, en su mayoría imposibles de encontrar en el diccionario. 

El “politiqués” es un tipo de lengua complicadísima, con sus propios vocablos y verbos. Se necesitaría estudiarla como el inglés de Shakespeare o el griego de Safo. La gran masa de gente (la cual, además, vota) no está capacitada para entenderla. Se necesitaría, por lo menos, hacer una......”pausa de reflexión predecisional”.

Por otro lado, aparentemente una encuesta demoscópica reciente comprobó que de 100 italianos, 98 no saben lo que es un “spread” (dicho en palabras simples, la diferencia entre el rendimiento de los títulos italianos y los alemanes), 80 permanecen mudos sobre la Corte Constitucional, 70 ignoran para que se utiliza el Palazzo Madama, y 20 definen la Cofindustria como un sindicato para trabajadores industriales. Parece, además, que para algunos entre los entrevistados, la pregunta formulada acerca del “funcionamiento del gabinete (en italiano la palabra define también el retrete) de ministros” resulta algo inapropiada.

Asimismo, el lenguaje de la casta tanto hablado como escrito, está repleto de siglas misteriosas.

Por ejemplo, nosotros, parias de la política, ¿tenemos permitido no saber que es la IEPA? Pues es perogrullada: es el “Instrumento Estructural de Pre Adhesión”. Nuevamente, en palabras simples, es una institución que sirve para preparar a los Países de Europa Central y Oriental (¡PECO, otro hermoso acrónimo!) para su ingreso a la Comunidad Europea. ¿Cómo no saberlo?

A propósito del idioma politiqués, hace tiempo, el profesor Piero Morosini (del Instituto superior de la Salud), y el profesor Marco Marchi (Universidad de Pisa), publicaron un estudio lingüístico muy divertido: “Prontuario de frases multiuso para rellenar de nada el vacío”.

De la tabla siguiente es evidente que entrelazando libremente las columnas que la componen es posible obtener una numerosa y muy variada serie de frases completamente carentes de significado
 


Estos discursos tan enredados se utilizan en el Parlamento, lugar en el cual, precisamente los parlamentarios “parlan” (hablan). Y, lamentablemente, hablan también cuando… no deberían de hacerlo.
El espectáculo de una sesión parlamentaria es algo surreal.

El show, enfatizado despiadadamente por la transmisión televisiva, es vulgar, degradante. Mientras Fulano, leyendo de un acordeón, parlotea de internacionalización de las tensiones centrífugas, necesidades emergentes y mejoras cualitativas, Zutano, totalmente indiferente, hojea el periódico y Mengano platica por el celular. Mientras tanto, otros individuos muy formales se mueven de sus escaños para confabular con un eximio y remoto colega. Éste último (se alcanza a ver bien por televisión) hace su mejor esfuerzo para reír y bromear con una gentil dama sentada al lado suyo, y luego…

Esta escena se repite, sin excepción, siempre según el mismo libreto. Es una especie de comedia deprimente y vergonzosa, cuyos interpretes son (sobre)pagados por nosotros. Y forman el “honorable” (¡digno de honor!)Congreso de la Unión.

 

(claudio bosio / puntodincontro / traducción al español de carla acosta villavicencio y joaquín ladrón de guevara)