Vecchi a 20 anni

Alcuni dei nostri organi prendono in mano il bastone molto prima di noi.
Il cervello è l’organo più fragile, il fegato invece “tiene” fino ai 70 anni.

Quando finisce la gioventù?17 luglio 2008. - La medicina avanza, gli uomini e le donne in Occidente sono sempre più longevi e quello che non ci ammazza ci rende più forti: ce ne vuole, insomma, prima di avere i capelli bianchi e mostrarla tutta, senza sconti, l’età che avanza. Il problema, però, è che non s’invecchia gradualmente, anzi. Alcuni dei nostri organi, infatti, prendono in mano il bastone molto prima di noi.

È il caso del cervello, che inizia a invecchiare già a 20 anni. Se tutti, alla nascita, partono con circa 100 miliardi di neuroni, a 40 anni se ne perdono anche 10 mila al giorno, creando problemi alla memoria e alla coordinazione. Ma quello che più danneggia la nostra capacitù celebrale, come sottolinea Wojtek Rakowicz, neurologo all’Imperial College di Londra, è la riduzione delle sinapsi, ovvero le connessioni tra le cellule cerebrali.

Altro organo che purtroppo per noi inizia a mollarci presto sono i polmoni. Già a 20 anni si mostrano i primi sintomi di riduzione della capacità polmonare: se a 30 anni, in media, un uomo riesce a respirare in una boccata sola oltre un litro d’aria, a 70 ne «ingoierà» solo mezzo litro. Il fiato, poi, si fa corto già a 40 anni. E pure la pelle comincia a perdere elasticità - spianando la strada alle prime rughe - intorno ai 25 anni. I primi segni, per fortuna, si notano di solito intorno ai 35, a meno che non si sia esagerato con le sigarette e con le tintarelle. Stessa sorte anche per i muscoli, «che - spiega il professor Roberts Moots - si rigenerano e si deteriorano continuamente quando si è giovani». Intorno ai 30 anni, però, l’aspetto degenerativo è di solito «preponderante» e, quando si raggiunge la soglia degli «anta», uomini e donne perdono tra lo 0,5 e il 2% della massa muscolare (a seconda dello stile di vita).

Il seno «dura» invece un po’ di più e inzia a cadere a 35 anni. A 40 è il turno dei capezzoli. Ma sono solo considerazioni di tipo estetico: il cancro al seno, per esempio, non dipende dall’età. «Anche se - dice Gareth Evans, specialista al St Mary’s Hospital di Manchester - con l’età le nostre cellule si danneggiano e l’invecchiamento dei geni può aprire la strada ai tumori».

Capelli (30 anni), ossa (35) e denti (40) fanno invece parte di quel gruppo che inizia a invecchiare relativamente presto, ma non troppo, e presenta forti differenze da persona a persona. E il detto popolare «occhio non vede, cuore non duole» potrebbe addirittura passare come un meccanismo fisico, a dimostrazione del fatto che i proverbi hanno sempre un fondo di verità. Occhi e cuore, infatti, invecchiano entrambi a partire dai 40 anni. Come se non bastasse, poi, uno studio del «Lloyds Pharmacy Found» ha rilevato che in media, in Gran Bretagna, le persone hanno un’età cardiaca superiore di cinque anni alla loro età anagrafica a causa della mancanza di attività fisica e dei grassi in eccesso.

Campione di longevità è invece il fegato, che mostra i primi segni di stanchezza molto dopo di noi: a 70 anni. «Le sue cellule hanno una straordinaria capacità di rigenerarsi - spiega David Lloyd, chirurgo al Leicester Royal Infirmary -. Se un donatore non beve, non fa uso di droghe e non ha patito infezioni, è possibile addirittura trapiantare il fegato di un uomo di 70 anni in un paziente di 20». A cadere infine è l’ultimo dei tabù: la maggior longevità della fertilità maschile. L’orologio biologico - rivela uno studio effettuato presso il Centro di Fecondazione Artificiale di Eylau - esiste anche per gli uomini e inizia a ticchettare con insistenza verso i 35 anni: la qualità dello sperma, a quell’età, inizia a diminuire e le probabilità d’incappare in un’interruzione di gravidanza non voluta, al di là dell’età della propria compagna, aumentano sostanzialmente.

Ognuno di noi ha due età. Una anagrafica, inesorabilmente documentata dalla carta di identità, e una biologica, determinata dalle modificazioni strutturali e funzionali che il nostro organismo subisce nel corso degli anni. Modificazioni che possono essere di entità diversa da soggetto a soggetto: molto accentuate in alcuni, molto meno in altri, col risultato che in soggetti della stessa età anagrafica, a un certo momento della vita, molto diverso sarà il processo di invecchiamento e, quindi, l'aspetto fisico e lo stato funzionale.

E' il gene p53, localizzato sul cromosoma 17, che innesca la cascata di eventi che porta all'apoptosi, cioè al suicidio programmato delle cellule, una volta che abbiano svolto il loro compito. Tuttavia il naturale svolgimento di tale programma è condizionato da un'infinità di fattori esterni, molti dei quali determinati dallo stile di vita. Capita così che il fumo, l'alimentarsi in modo scorretto, il bere alcolici in eccesso, l'essere obesi, non praticare un'attività fisica regolare, subire gli effetti neuro-endocrini di stress ripetuti e prolungati, vivere in ambienti inquinati, ci spingono irrimediabilmente verso un invecchiamento precoce e bruciano una buona fetta della nostra vita.

Se ne deduce che ognuno di noi è responsabile di una buona parte della propria età biologica. Ma la si può valutare in modo corretto? Non è semplice. Vanno analizzate le varie caratteristiche (metaboliche, ormonali, psicologiche, immunologiche, fino all'entità dello stress ossidativo e alla funzionalità sessuale), raffrontandole con quelle, statisticamente calcolate, di migliaia e migliaia di persone, età per età. Ma si possono anche eseguire piccoli esperimenti, come quello di valutare il grado di giovinezza della propria pelle, sollevando per cinque secondi con due dita una piega del dorso della mano, lasciarla andare e vedere in quanti secondi ritorna al suo posto, o come quello di cronometrare quanto tempo si riesce a stare su una gamba.

 

(La Stampa.it)