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7 marzo 2020 (ore 16:14) - La psicosi provocata dall'epidemia di Covid-19 ha portato molti abitanti dell'Italia settentrionale a svuotare gli scaffali dei supermercati facendo incetta di pasta e, tra i formati in vendita, le penne lisce sono state disprezzate, rimanendo spesso sui banconi. La vicenda ha provocato un vivace dibattito tra i sostenitori e i critici di questa forma storica nell'ambito delle numerosissime varietà di uno dei prodotti alimentari italiani più conosciuti.

Ma, prima di riferirci ai dettagli della discussione, rivediamo brevemente alcuni dati storici.

Al contrario di molti tipi di pasta, le cui origini si perdono nel mito, le penne —superate solo dagli spaghetti in termini di apprezzamento a livello mondiale— hanno una precisa data di nascita e la loro paternità non è contesa.

L’11 marzo del 1865 il genovese Giovanni Battista Capurro depositò il brevetto di una macchina per tagliare la pasta diagonalmente.

Secondo alcune versioni, il nuovo formato voleva riprodurre i pennini delle penne stilografiche —brevettate 38 anni prima dal governo francese—, da cui il nome.

Nel documento del brevetto, conservato all’Archivio Centrale dello Stato a Roma, si legge: «Fino al giorno d’oggi non si poteva ottenere il taglio diagonale che colle forbici a mano, metodo che, oltre a riuscire troppo lento e dispendioso, presentava l’inconveniente di produrre un taglio irregolare e di schiacciare le paste».

Le penne ebbero subito successo e si diffusero rapidamente dalla Liguria in tutto lo Stivale, dove si oggi contano diverse varianti. Cambia la lunghezza, lo spessore, il diametro, la porosità, ma il taglio obliquo resta sempre lo stesso.

Le molte sfumature di penne

La penna nacque liscia e dorata, ma poi —come spesso succede— con il passare del tempo ha preso infinite forme. In origine si impastava il grano con lo zafferano per dare colore alla pasta, un’usanza di cucina di origine medievale. Oggi, invece, si prepara in maniera semplice, solo con acqua e grano duro.

Come abbiamo già detto, le penne rigate sono il formato prediletto, almeno nel Nord del Paese, dove vengono difese per la tenuta di cottura e la porosità che favorisce il matrimonio con il sugo.

Le penne lisce sono più sottili. In Umbria le chiamano Spole, in Sicilia Maltagliati o Attuppateddi e negli Stati Uniti Mostaccioli.

Le pennette sono più strette di diametro e di forma più allungata. Nell’Italia del sud troviamo la variante penne ziti, lisce, lunghe e in formato maxi, gli zitoni.

I pennoni sono impercettibilmente più grandi e spessi rispetto alle penne classiche, e si trovano in commercio sia lisci, sia rigati.

Le mezze penne, praticamente uguali alle “sorelle rigate”, sono più corte, perfette per incorporare il sugo o tutti gli ingredienti delle preparazioni fredde.

Nell’Italia del sud si gustano le penne a candela, lisce ma più spesse, per un’emozione più intensa al palato.

Tornando alla diatriba, nei giorni scorsi Gennaro Esposito —chef nella zona metropolitana di Napoli del ristorante de La Torre del Saracino, due stelle Michelin e tre forchette Gambero Rosso— è uscito in difesa del formato che ultimamente è rimasto sui banconi.

«Io difendo a spada tratta la pasta liscia», ha detto. E ha spiegato: «Quella tra il liscio e il rigato in realtà è una vecchia questione, che apre una spaccatura tra nord e sud anche per quanto riguarda la pasta. Storicamente a nord ci sono i rigati e al sud i lisci. E c’è una ragione storica che spiega questa differenza: la pasta secca al nord veniva prodotta rigata perché semplificava la lavorazione e sopperiva là dove non c’era abbastanza esperienza».

«Ma qual è il problema vero?» —ha aggiunto Esposito— «È che la pasta rigata induce a pensare che abbia una migliore capacità di far attaccare il sugo. In realtà non è così. Quello che la rende più o meno capace di tenere il sugo è la crosta. Anzi, il rigo rappresenta una notevole fonte di imperfezione: in cottura la presenza di queste sporgenze fa sì che la pasta non si cuocia uniformemente e, quando poi la saltiamo, la superficie del rigo si spappola e va a impastare il piatto. Quindi avremo non solo una pasta che non è cotta perfettamente, ma anche una situazione in cui l’amido interferisce con il sugo. Ci sono casi a parte: per esempio nel rigatone all’amatriciana, che è una salsa sbilanciata sulla parte grassa, lo sgretolamento dell’amido dal rigo emulsiona un po’ il grasso. Ma di fatto rimane un’eccezione».

(massimo barzizza / puntodincontro.mx)

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