Ore 13.34 – Ieri mattina papa Francesco ha ricevuto in udienza, nel Palazzo Apostolico Vaticano, un gruppo di imprenditori provenienti dal Messico e ha rivolto loro, in spagnolo, il saluto che pubblichiamo di seguito:
Cari fratelli e sorelle,
vi saluto e ringrazio il Sig. Eduardo Pisa, delegato dell’Arcidiocesi del Messico per l’amministrazione dei beni ecclesiastici, per le parole che mi ha rivolto. Sono molto contento di potervi incontrare e ripeto la frase che si dice in Messico, «la mia casa è la tua». Per tutti i cattolici, anche il Vaticano è come la loro dimora. È un luogo dove i figli della Chiesa possono incontrarsi e lodare Dio in famiglia.
È molto triste quello che stiamo vivendo, testimoni di come le guerre distruggono le famiglie umane, provocando sofferenza e povertà. E questo ci fa perdere il senso di essere una famiglia, il senso del rispetto e della tolleranza reciproca pur con le nostre differenze e difficoltà. La lotta è al primo posto e dimentichiamo che in una famiglia le cose si sistemano con pazienza, con amore, dialogo, condivisione dei punti di vista e dei bisogni di ciascuno, per aiutarsi a vicenda. La cultura del nostro tempo è piena di individualismo e chiusura. E poco a poco vediamo le conseguenze delle nostre coscienze intorpidite dalla comodità, che portano a perdere di vista chi soffre o viene scartato. E senza volerlo, stiamo acquisendo questo movimento di focalizzazione su noi stessi, il famoso “io”, “me”, “mio”, “con me”, “per me”. È un’abitudine che può colpire tutti inconsapevolmente, State attenti!
Qualche mese fa ho detto a un gruppo di uomini d’affari spagnoli che l’imprenditore cattolico, per essere segno della presenza di Dio nel mondo dell’economia e del lavoro, deve occuparsi del rapporto con il Signore. Il capitale più importante che possiamo avere è quello spirituale. Quando il Signore tocca il nostro cuore, allarghiamo lo sguardo e riusciamo a vedere chi si trova in difficoltà, di prenderci cura del creato; siamo capaci di mettere al primo posto il bene comune, il “noi” di una famiglia, di mettere da parte la logica mondana dell’“io”, il successo, il predominio, il denaro, escludendo gli altri. Ciascuno di noi è chiamato a contribuire perché nella società siano sempre di più gli artigiani della pace e della cultura dell’incontro e affinché nella Chiesa si moltiplichino i costruttori di una comunità in cui tutti, nessuno escluso, si sentano accolti e amati dal Signore.
E riguardo alla cura del rapporto con Dio, sappiamo che per farlo è necessario che ci siano buoni sacerdoti, che sono i pastori del popolo di Dio. Sono felice di vedere che amate la Chiesa e vi preoccupate dei suoi ministri. È un diritto dei fedeli avere sacerdoti preparati e nutrire gioiosamente la comunità dei credenti con la Parola e l’Eucaristia e testimoniare anche una vita dedicata agli altri. Per questo vi incoraggio a pregare per i sacerdoti, e a ringraziare Dio per i carismi di cui arricchiscono l’intera famiglia ecclesiale, oltre ad intercedere per loro in mezzo a alle tante difficoltà che incontrano. Allo stesso modo, vi invito ad essere loro vicini, ad aiutarli perché possano concentrare le loro energie e la loro creatività nell’esercizio della cura pastorale.
Vorrei concludere queste parole affidandovi alla protezione di Nostra Signora di Guadalupe. Prendetevi cura di lei così com’è: semplice, negrita, e non permettete a nessuno di ideologizzarla. Così com’è. Ha chiesto che le fosse costruita una casa dove tutti i suoi figli potessero visitarla per depositare i loro dolori e le loro speranze. Per questo la Basilica di Guadalupe è l’immagine della Chiesa, accoglie tutti i suoi figli. Che anche lei si prenda cura di voi, delle vostre famiglie, vi incoraggi e vi accompagni nei vostri buoni progetti. Dio vi benedica. E per favore, vi chiedo di non dimenticare di pregare per me.