Ore 15.47 – In una sorta di déjà vu che ci riporta ai primi anni dello Stato italiano, poco dopo la metà dell’Ottocento, ma in un contesto di origini diverse, Fratelli d’Italia (FdI) —il partito politico di maggioranza relativa in Parlamento, fondato nel 2012 dall’attuale presidente del Consiglio dei ministri Giorgia Meloni— ha presentato una proposta di legge secondo la quale sarà vietato utilizzare termini non italiani, soprattutto nella Pubblica Amministrazione.
L’iniziativa è partita dal vicepresidente della Camera dei deputati, Fabio Rampelli, rappresentante di FdI, supportato da venti deputati della sua fazione.
Nel Bel Paese, secondo alcune opinioni, tra cui quelle di esponenti dell’Accademia della Crusca —istituzione fondata nel 1583 che raccoglie studiosi ed esperti di linguistica e filologia della lingua italiana— da tempo si verifica un «progressivo scadimento del valore attribuito alla nostra lingua». I sostenitori dell’iniziativa affermano che la consuetudine di utilizzare termini per lo più in inglese «è diventata una prassi comunicativa che, lungi dall’arricchire il nostro patrimonio linguistico, lo immiserisce e lo mortifica».
Nel dettaglio, il disegno di legge contro le lingue straniere prevede quanto segue:
Articolo 1: «La Repubblica garantisce l’uso della lingua italiana in tutti i rapporti tra la pubblica amministrazione e il cittadino nonché in ogni sede giurisdizionale».
Articolo 2: «La lingua italiana è obbligatoria per la promozione e la fruizione di beni e di servizi pubblici nel territorio nazionale». Ovvero gli enti pubblici e privati «sono tenuti a presentare» in lingua italiana qualsiasi documentazione «relativa ai beni materiali e immateriali prodotti e distribuiti sul territorio nazionale».
E ogni informazione presente in un luogo pubblico «ovvero derivante da fondi pubblici» deve essere trasmessa in lingua italiana. Inoltre, per ogni manifestazione, conferenza o riunione pubblica organizzata nel territorio italiano è obbligatorio «l’utilizzo di strumenti di traduzione» per garantire «la perfetta comprensione in lingua italiana dei contenuti dell’evento».
Articolo 4: «Chiunque ricopre cariche» all’interno delle istituzioni italiane, della pubblica amministrazione, di società a maggioranza pubblica e di fondazioni «è tenuto» alla conoscenza e alla padronanza scritta e orale della lingua italiana, «le sigle e le denominazioni delle funzioni ricoperte nelle aziende che operano nel territorio nazionale» devono essere in lingua italiana. E anche i «regolamenti interni delle imprese che operano nel territorio nazionale» devono essere redatti in lingua italiana.
Con l’articolo 5 si punta a modificare l’articolo 1346 del codice civile, ovvero diventa obbligatorio l’utilizzo della lingua italiana nei contratti di lavoro: «Il contratto deve essere stipulato nella lingua italiana».
L’articolo 6 della proposta di legge prevede che negli istituti scolastici di ogni ordine e grado e nelle università pubbliche italiane «le offerte formative non specificamente rivolte all’apprendimento delle lingue straniere devono essere in lingua italiana».
Con l’articolo 7 si istituisce presso il ministero della cultura «il Comitato per la tutela, la promozione e la valorizzazione della lingua italiana nel territorio nazionale e all’estero»: sarà presieduto da rappresentanti dell’Accademia della Crusca, della società Dante Alighieri, dell’istituto Treccani, del ministero degli Affari esteri, del ministero dell’Istruzione e del merito, dell’Università e della ricerca, del dipartimento per l’Editoria della presidenza del Consiglio e della Rai. Dovranno promuovere «la conoscenza delle strutture grammaticali e lessicali della lingua italiana», l’uso «corretto della lingua italiana e della sua pronunzia» nelle scuole, nei mezzi di comunicazione, nel commercio e nella pubblicità; l’insegnamento della lingua italiana nelle scuole di ogni ordine e grado e nelle università; «l’arricchimento della lingua italiana allo scopo primario di mettere a disposizione dei cittadini termini idonei a esprimere tutte le nozioni del mondo contemporaneo, favorendo la presenza della lingua italiana nelle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione»; nell’ambito delle amministrazioni pubbliche «forme di espressione linguistica semplici, efficaci e immediatamente comprensibili, al fine di agevolare e di rendere chiara la comunicazione con i cittadini anche attraverso strumenti informatici».